Cotone: la nostra scelta fa la differenza!
Perché parliamo di cotone? Perché è uno dei tessuti più utilizzati per il nostro abbigliamento (e non solo) ed è anche tra quelli con maggior impatto ambientale. Considerando le magliette, ogni anno nel mondo ne acquistiamo 2 miliardi!
E’ fresco, morbido, piacevole da sentire sulla pelle, pratico, d’estate quasi un must, ma ne acquistiamo così tanto che non mancano le conseguenze sull’ambiente e sulle persone….
Ne parliamo per capire perché prima di comprare capi in cotone tradizionale sia importante chiederci se davvero ne abbiamo bisogno o almeno valutare l’opzione del cotone biologico o altre fibre naturali.
Perché l’impatto del cotone sulla natura e sulle persone non è trascurabile? Il video The life cycle of a t-shirt (di Angel Chang) ci spiega passo passo la vita di questo tessuto.
Si parte dalla coltivazione, che avviene in più di 80 paesi (India, Cina e Stati Uniti soprattutto) e che richiede un ammontare significativo sia di acqua sia di pesticidi. Sono necessari 2.700 litri di acqua per produrre una t-shirt standard, spesso impiegando questo prezioso bene proprio in paesi dove scarseggia, visto che il cotone predilige climi asciutti. Inoltre, è una delle piantagioni in cui si utilizzano più pesticidi al mondo: 1/3 dei pesticidi chimici e dei fertilizzanti sintetici globalmente utilizzati. La coltivazione riguarda anche l’aspetto sociale: il salario dei lavoratori, il coinvolgimento di minori nella raccolta, le condizioni di lavoro (tra cui l’inalazione di sostanze tossiche).
Successivamente il cotone è spedito (con relativo impatto quindi in termini di emissioni) in fabbriche per essere mischiato, cardato, pettinato, tirato, allungato e infine intrecciato in nastri componendo matasse. Queste passano alla fase successiva: la tessitura. Sono aggiunti prodotti chimici per renderlo morbido e bianco. Le matasse sono sbiancate e poi tinte, purtroppo nella maggior parte dei casi con sostanze tossiche (dannose per la pelle, per i lavoratori che ne vengono a contatto e per l’ambiente arrivando dagli scarichi industriali nell’oceano).
A questo punto il tessuto viaggia di nuovo nel mondo, per essere trasformato in magliette. Il Bangladesh è il maggior esportatore di magliette di cotone, 5 milioni di persone lavorano nella produzione di magliette – tipicamente vivono in condizioni di povertà e ricevono un salario esiguo, non sufficiente per vivere dignitosamente. Il documentario “UDITA” (https://www.youtube.com/watch?v=g_tuvBHr6WU) racconta di 5 anni accanto alle donne coinvolte nella produzione di abbigliamento in Bangladesh. Questa finestra sulla loro vita mi ha colpito profondamente, da quando l’ho visto non riesco più a non chiedermi da dove venga ciò che vorrei comprare, chi lo ha fatto, se con il mio acquisto sto spendendo troppo poco a discapito di un livello di vita dignitoso di qualcun altro… Il video è stato una delle ragioni dell’adozione della filosofia “pochi capi ma di qualità e sostenibili” (http://ecoscienti.org/2018/04/13/vita-da-ecoscienti-abbigliamento-sostenibile/ ).
Una volta prodotte, le magliette viaggiano nuovamente sul pianeta per essere vendute. Si calcola un’enorme impronta di CO2, producendo globalmente il 10% delle emissioni di carbonio (1.000 miliardi di kilowatt orari) ogni anno.
Se proprio desideriamo indossare capi in cotone, consideriamo quello organico, che rappresenta l’1% della produzione globale (22 milioni e 700 mila tonnellate) oppure l’acquisto di indumenti di seconda mano.
Il cotone organico è coltivato senza pesticidi e fertilizzanti sintetici e non proviene da semi geneticamente modificati. Ma soprattutto implica un sistema agricolo sostenibile, perché i piccoli coltivatori di cotone di solito piantano più colture, sia per la vendita sia per il consumo familiare (soia, girasoli, legumi, ecc.), non affidandosi solo ad una tipologia di coltivazione. Contribuiscono così alla biodiversità del terreno. Anche il consumo di acqua è significativamente ridotto, perché principalmente deriva dalla pioggia: si stima un consumo di acqua pari al 10%- 20% della quantità richiesta dalla coltura tradizionale.
Ecco una tabella riassuntiva del confronto tra cotone normale e biologico:
(fonte Textile Exchange)
La certificazione e la tracciabilità ci aiutano a scegliere prodotti con impatto più contenuto. Il certificato GOTS (Global Organic Textile Standard) ci dà maggiori garanzie e riguarda la trasformazione, la produzione, l’imballaggio, l’etichettatura, il commercio e la distribuzione dei tessuti realizzati con almeno il 70% di fibre naturali biologiche.
Il certificato Fair Trade invece riguarda gli aspetti sociali/lavorativi della produzione del tessuto, garantendo il rispetto delle persone coinvolte.
Curiosa alternativa la maglietta con durata garantita per 30 anni: prodotta in cotone italiano per durare a lungo, in caso accada qualcosa al vostro indumento per tre decadi dall’acquisto sarà riparata o sostituita gratuitamente.
La collezione artigianale “30 anni” di Tom Cridland include anche camice, pantaloni, felpe e giacche in cotone, lana e cachemire. L’antitesi (e l’antidoto) della fast fashion.
Ho chiesto informazioni all’azienda su un’eventuale certificazione dei tessuti ma non ho avuto al momento risposta.
Per uomo e per donna.
https://www.tomcridland.com/collections/the-30-year-t-shirt
Per prodotti in cotone organico e/o altre fibre naturali:
Lizè Natural Clothing
Negozio italiano on line di capi in tessuti naturali che “possono essere sani, belli e accessibili a tutti”.
Oltre al canale on line, ha un punto vendita in Valbrenta.
Per uomo, donna e bambino.
http://www.lize-shop.it
Dedicated
Brand svedese sostenibile di streetwear in cotone biologico, nel rispetto dei lavoratori. Ha diversi punti vendita in Italia.
Per uomo, donna e bambino.
https://www.dedicatedbrand.com/en/
Altra Moda Vestire Bio
Negozio italiano on line con abbigliamento biologico e articoli naturali per tutta la famiglia.
Per uomo, donna e bambino.
https://www.altramoda.net/it
http://ecoscienti.org/2018/06/07/un-tessuto-ecologico-e-fresco-per-le-calde-giornate-il-lino/
Per un’altra scelta responsabile:
http://ecoscienti.org/2018/05/17/infiniti-abiti-zero-ingombro-un-sogno/
(Foto: Dedicated – da Textile Exchange)
Articolo pubblicato anche su ecoscienti.org
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