
Oltre un milione costretti a raccogliere cotone: la schiavitù in Uzbekistan e Turkmenistan dietro i nostri vestiti
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Anti-slavery si occupa di risolvere le situazioni di schiavitù nel mondo. Tra le sue campagne, quella per fermare lo sfruttamento (anche minorile) nell’industria del cotone, in particolare in Uzbekistan e Turkmenistan.
Questi due paesi sono tra i maggiori produttori ed esportatori di cotone nel mondo, che finisce nelle catene di approvvigionamento globali e sugli scaffali di molti negozi. Per produrre questo cotone entrambi i governi repressivi usano sistemi di lavoro forzato su vasta scala.
Ogni autunno oltre un milione di cittadini uzbeki e turkmeni sono costretti dal governo a lasciare il proprio lavoro regolare e andare nei campi a raccogliere il cotone.
Agli agricoltori viene ordinato di coltivare cotone, altrimenti rischiano sanzioni finanziarie o la rimozione dalla terra che coltivano.
Durante il raccolto cittadini come insegnanti e medici sono costretti a lasciare il lavoro normale per trascorrere settimane nei campi a raccogliere cotone, spesso in condizioni pericolose e senza l’attrezzature di base. Le persone possono essere lasciate esauste e soffrire di problemi di salute e malnutrizione dopo settimane di duro lavoro. Coloro che lavorano in trasferta nelle piantagioni di cotone sono costretti a stare in dormitori improvvisati in condizioni precarie con cibo e acqua potabile insufficienti.
Sotto la pressione degli attivisti, l’Uzbekistan ha promesso riforme del suo sistema di lavoro forzato. Tuttavia, è tutt’altro che eliminato. Anti-slavery sta monitorando la situazione da vicino, in particolare durante la raccolta in autunno.
Oltre 250 aziende hanno già firmato il Cotton Pledge per non utilizzare il cotone uzbeko.
Ma le catene di approvvigionamento sono così complesse che spesso non è facile determinare la provenienza del cotone nei prodotti finali. Anti-slavery invita quindi le aziende a fare di più in modo proattivo per garantire che il cotone uzbeko e turkmeno non entri nelle catene di approvvigionamento.
Il lavoro di Anti-slavery con i governi e le organizzazioni internazionali è stato recentemente reso più difficile dall’approccio delle istituzioni sempre più indulgente nei confronti dell’Uzbekistan, dopo che ha smesso il lavoro minorile sistematico, ma li ha sostituiti con gli adulti.
Il governo dell’Uzbekistan abitualmente molesta, intimidisce e reprime i cittadini che tentano di monitorare il raccolto di cotone.
Le imprese sono costrette a contribuire finanziariamente se vogliono rimanere aperte durante il periodo del raccolto. Anche la fornitura di servizi pubblici come l’assistenza sanitaria e l’istruzione è gravemente compromessa durante il raccolto.
Nonostante la diffusa conoscenza di questi abusi, alcuni commercianti e aziende tessili sono stati complici nell’acquistare e vendere cotone uzbeko. E sebbene molte aziende si siano impegnate a non usare consapevolmente il cotone uzbeko, finisce comunque nelle catene di approvvigionamento globali e in molti prodotti finiti.
Mentre il lavoro minorile è stato quasi debellato nel settore del cotone dell’Uzbekistan, in Turkmenistan non ci sono segnali di progresso e la situazione nell’ultimo raccolto è persino peggiorata: sono stati visti gruppi di bambini mandati di nuovo nei campi durante la raccolta dello scorso anno, faticando in condizioni pericolose nonostante un divieto nazionale.
Come aziende o designer, possiamo impegnarci nella selezione dei fornitori di cotone, individuando produttori attenti alle persone e all’ambiente. Il cotone non è un materiale sostenibile, per via dell’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici impiegati e del consumo di acqua richiesto per la sua coltivazione. Meglio scegliere il cotone biologico, se non possiamo fare a meno di questa fibra.
La pressione economica si è rivelata cruciale nel portare l’Uzbekistan alle riforme. È necessario che le aziende firmino il Cotton Pledge e che indaghino sulle catene di approvvigionamento dei propri prodotti con il loro marchio, collegati a casi di lavoro forzato, traffico di esseri umani e altre forme di schiavitù moderna.
Come consumatori cosa possiamo fare? Sostenere le campagne come quella di Anti-slavery per fermare questa pratica dannosa:
https://www.antislavery.org/take-action/campaigns/end-uzbek-cotton-crimes/
Possiamo scrivere alle aziende per chiedere da dove viene il cotone dei capi che desideriamo acquistare. Possiamo scegliere di comprare da chi si impegna eticamente e ambientalmente. Possiamo acquistare di seconda mano.
“Incoraggiamo te, consumatore, a spingere i tuoi marchi e rivenditori preferiti a firmare The Cotton Pledge per garantire che il lavoro forzato non entri nei prodotti”.
Più sotto, il video di Anti-slavery.
English: Over a million forced to pick cotton: slavery in Uzbekistan and Turkmenistan behind our clothes
Anti-slavery aims to solve situations of slavery in the world. Among its campaigns, there is the one to stop exploitation (including child slavery) in the cotton industry, particularly in Uzbekistan and Turkmenistan.These two countries are among the largest producers and exporters of cotton in the world, which ends up in global supply chains and on the shelves of many shops. To produce this cotton, both repressive governments use large-scale forced labor systems. Every autumn more than a million Uzbek and Turkmen citizens are forced by the government to leave their regular jobs and go to the camps to collect cotton.
Farmers are ordered to grow cotton, otherwise they risk financial sanctions or removal from the land they farm. During the harvest, citizens like teachers and doctors are forced to leave their regular jobs to spend weeks in the fields picking cotton, often in dangerous conditions and without basic equipment. People can be left exhausted and suffer from health problems and malnutrition after weeks of hard work. Those who work in the cotton plantations are forced to stay in makeshift dormitories in precarious conditions with insufficient food and drinking water. Under pressure from activists, Uzbekistan has promised reforms of its forced labor system. However, it is far from eliminated. Anti-slavery is monitoring the situation closely, particularly during the harvest in autumn.
Over 250 companies have already signed the Cotton Pledge for not using Uzbek cotton. But supply chains are so complex that it is often not easy to determine the origin of the cotton in the final products. Anti-slavery therefore urges companies to do more proactively to ensure that Uzbek and Turkmen cotton does not enter supply chains. Anti-slavery’s work with governments and international organisations has recently been made more difficult by institutions increasingly lenient approach to Uzbekistan, after it stopped the systematic child labour, but replaced them with adults.
The government of Uzbekistan habitually harasses, intimidates and represses citizens who try to monitor the cotton crop. Companies are forced to contribute financially if they want to remain open during the harvest period. Even the provision of public services such as health care and education is severely compromised during the harvest. Despite the widespread knowledge of these abuses, some traders and textile companies have been complicit in buying and selling Uzbek cotton. And although many companies have committed themselves to not consciously use Uzbek cotton, it still ends up in global supply chains and in many finished products. While child labor has been almost eradicated in the cotton sector of Uzbekistan, there are no signs of progress in Turkmenistan, and the situation in the last harvest has even worsened: groups of children were seen being sent back to the camps during last year’s harvest, struggling in dangerous conditions despite a national ban.
As companies or designers, we can engage in the selection of cotton suppliers, identifying producers that pay attention to people and the environment. Cotton is not a sustainable material, due to the use of pesticides and chemical fertilizers used and the consumption of water required for its cultivation. Better to choose organic cotton, if we can not give up this fibre. Economic pressure has proved crucial in bringing Uzbekistan to reforms. Companies need to sign the Cotton Pledge and investigate the supply chains of their products with their brand, linked to cases of forced labor, trafficking in human beings and other forms of modern slavery.
As consumers what can we do? Supporting campaigns like Anti-slavery’s one to stop this harmful practice:
End Cotton Crimes
We can write companies to ask where cotton comes from of the items we wish to purchase. We can choose to buy from those who engage ethically and environmentally. We can buy second-hand.
“We encourage you, the consumer, to push your favourite brands and retailers to sign The Cotton Pledge to ensure that forced labour does not find its way into products we buy every day”.
