
Vita da Dress Ecode – Cosa c’è nel mio armadio da quando ho aperto gli occhi sull’impatto della moda?
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Puoi ascoltare qui l’articolo: Audio-à-porter – Cosa c’è nel mio armadio?
Quando ho iniziato ad avere consapevolezza dell’impatto dei vestiti sull’ambiente e sulle persone, ma soprattutto quando ho iniziato a scrivere per Dress Ecode mi sono posta il problema di ciò che avevo nell’armadio. Scrivendo di questo tema e partecipando a eventi sulla sostenibilità o a campagne/azioni ambientaliste ti chiedi cosa indossare in modo coerente. Perché spesso guarderanno se non solo predichi bene, ma pure se non razzoli male. Perché si aspetteranno di vederti vestita dal cappello alle mutande, ai calzini, alle scarpe con materiali sostenibili.
Perché altrimenti cade tutto e non risulti coerente. Come puoi parlare di sostenibilità nella moda se porti un abito di cotone sbiancato? Come puoi informare sulle conseguenze della fast fashion se indossi una camicetta di H&M? Come puoi raccontare di storie di schiavitù moderna con ai piedi un paio di sneakers di un noto marchio accusato di non pagare adeguatamente i suoi lavoratori?
Ho riflettuto molto sul da farsi e ancora oggi mi interrogo sulla scelta migliore. Nel momento in cui ho aperto sugli occhi sulle conseguenze del settore della moda il mio armadio offriva tutto ciò con cui vestirsi per almeno dieci anni.
Prima opzione: buttare via tutto, disfarsi di ogni cosa e acquistare di nuovo il necessario seguendo gli accorgimenti maturati alla luce dei diversi studi sull’argomento. In questo modo ogni imbarazzo nel parlare di sostenibilità indossando capi non sostenibili sarebbe stato evitato. Facile, un po’ dispendioso, ma risultato garantito.
Altra opzione: continuare a tenere ciò che c’è nel guardaroba, perché prendere e buttare capi praticamente nuovi non sarebbe molto responsabile. Più difficile, non dispendioso, risultato non garantito. Perché ogni volta quel sospetto “predica bene ma razzola male” può aleggiare nell’aria.
Cosa ho scelto e cosa scelgo ogni giorno?
Ricercando un po’ di buon senso, sperando di averne un briciolo, ho deciso una via di mezzo:
– Regalare/vendere ciò che, ancora in buono stato, mi accorgo di non indossare frequentemente.
– Aggiustare/rimodernare ciò che posso ancora portare con piacere
– Inserire nuovi capi solo se necessari, se mi piacciono moltissimo e so che li indosserò tante volte per molto tempo.
I nuovi capi saranno in tessuti sostenibili oppure di seconda mano/vintage oppure cuciti con le mie manine. Adoro le caratteristiche del lino , della canapa e dell’ortica. A contatto con la pelle mi piacciono il cotone biologico, le viscose e altre fibre vegetali prodotte meccanicamente (non chimicamente) in modo responsabile. Ho deciso di acquistare capi di lana solo di seconda mano oppure, se dovesse capitare, in tipologie non danneggianti gli animali (come la lana di yak) e preferibilmente artigianali. Così per la seta.
Accanto a indumenti ereditati da mamma, nonna, bisnonna, zia e altri familiari e a capi che possiedo anche da venti anni, mi trovo ancora nell’armadio camicette e vestitini di marchi fast fashion. Sì, perché vengo da una vita precedente di mancata conoscenza, chiamiamola pure ignoranza, di ciò che sta dietro i vestiti. Vengo da quella fase di effimera ebrezza di poter finalmente comprare con i primi soldini guadagnati tutto ciò che si ha voglia di indossare, per cambiare ogni giorno vestito per andare al lavoro o per uscire la sera e nei week-end. Ma vengo anche da un periodo precedente completamente diverso, a cui ora sono tornata: alle medie e al liceo dovevo lambiccarmi il cervello e fondermi il piccolo neurone da bionda per poter creare “vestite” diverse (si diceva così, oggi si dice outfit diversi). Perché a scuola erano sempre tutte vestite ogni giorno in modo differente, ma io non avevo una marea di vestiti alla moda. Ricordo che guardavo i telefilm (le serie di oggi) per prendere qualche idea. I soldini non erano miei, non si poteva proprio fare shopping ogni settimana come ora con la fast fashion riescono anche le più giovani con pochi euro. Di quel periodo ricordo un po’ di avvilimento e frustrazione, ma ora ne sono grata. Perché mi ha insegnato a combinare tra loro capi differenti inventando diversi outfit con pochi pezzi in un proprio stile. Oggi lo chiamano capsule wardrobe 🙂 Allora era prendere un po’ dal mio armadio e un po’ da quello di mamma mescolando le poche cose in modo diverso.
Ed è quello che continuo a fare oggi, con gioia nell’utilizzare una parte di creatività nel vestirmi.
Ho ancora nell’armadio capi fast fashion acquistati nuovi tanti anni fa. Pian piano non rappresentandomi più li donerò, per ora continuo a indossarli perché ormai li ho lì, accanto a vestiti vintage e second-hand. Ci sono anche capi di marchi non molto sostenibili ma acquistati usati.
Pronta a spiegare le ragioni a chi mi chiederà cosa indosso.
Non so se sia la scelta migliore di tutte, mi lascio guidare dal buon senso sperando di agire nel modo meno dannoso per l’ambiente e altre persone. Se vuoi scoprire qualche outfit sostenibile che indosso, nel gruppo Facebook di Dress Ecode condivido qualche foto insieme ad altri partecipanti.
E voi? Cosa avete deciso di fare? Mi piacerebbe conoscere e raccontare la vostra storia.
Fatta a mano da una sarta toscana, la fata profumino (così l’ha chiamata perché contiene lavanda)
dorme sonni tranquilli sulla maglietta creata da avanzi di tessuto 🙂
English: Dress Ecode lifestyle – What’s in my closet since I opened my eyes to the impact of fashion?
When I started to become aware of the impact of clothes on the environment and on people, but especially when I started writing for Dress Ecode I asked myself the question of what I had in the wardrobe. Writing about this issue and participating in sustainability events or environmental campaigns/actions, you wonder what to wear coherently. Because people will often watch if you are not only preaching well, but also if you practice what you preach. Because they will expect to see you dressed from the hat, to underpants, to socks, to shoes with sustainable materials.
Because otherwise it all falls and you do not prove to be consistent. How can you talk about sustainability in fashion if you wear a bleached cotton dress? How can you inform about the consequences of fast fashion if you wear a H&M blouse? How can you tell stories of modern slavery with a pair of sneakers from a well-known brand on your feet accused of not paying its workers adequately?
I have thought a lot about what to do and even today I wonder about the best choice. When I opened my eyes to the consequences of the fashion industry, my wardrobe offered everything to dress for at least ten years.
First option: to throw away everything, to get rid of everything and buy the necessary again following the considerations taken in the light of the various studies on the subject. In this way any embarrassment in talking about sustainability by wearing unsustainable clothes would have been avoided. Easy, a bit expensive, but a guaranteed result.
Another option: to keep what’s in the wardrobe, because taking and throwing almost new clothes wouldn’t be very responsible. More difficult, not expensive, unsecured result. Because every time that suspicion “preaches well but does not practice” could hover in the air.
What did I choose and what do I choose every day?
Searching for a bit of common sense, hoping to have a bit of it, I decided on a middle way:
– To donate/sell what, still in good condition, I realise I don’t wear frequently.
– To repair/refashion what I can still wear with pleasure.
– To add new clothes only if necessary, if I like them very much and know that I will wear them many times for a long time.
The new garments will be in sustainable fabrics or second-hand/vintage or sewn with my hands. I love the characteristics of linen, of hemp and of nettle. On the skin I like organic cotton, viscose and other plant fibers produced mechanically (not chemically) responsibly. I decided to buy wool clothes only second-hand or, if it happens, in types that do not damage animals (such as yak wool) and preferably artisanal. So for silk.
Next to garments inherited from my mother, grandmother, great-grandmother, aunt and other family members and clothes I have also owned for twenty years, I still find in the closet blouses and dresses of fast fashion brands. Yes, because I come from a previous life of lack of knowledge, let’s call it ignorance, of what lies behind the clothes. I come from that ephemeral phase of being able to finally buy with the first pennies earned all that you want to wear, to change every day dressed to go to work or to go out at night and on weekends. But I also come from a completely different previous period, to which I have now returned: in middle school and high school I had to rack my brains and fuse the little neuron of a blond to be able to create different “dressing options” (it was said so, today we say different “outfits”). Because at school they were all dressed differently every day, but I didn’t have a lot of fashionable clothes. I remember watching TV series (today’s series) to get some ideas. The pennies weren’t mine, you couldn’t just go shopping every week as now with the fast fashion even the youngest manage with a few euros. From that time I remember a bit of frustration and frustration, but now I am grateful. Because it taught me to combine different clothes together, inventing different outfits with just a few pieces in his own style. Today they call it capsule wardrobe 🙂 At that time it was like taking a little from my closet and a little bit from mum’s, mixing the few things differently.
And that’s what I continue to do today, with joy in using a part of creativity in dressing.
I still have fast fashion items as good as new in my wardrobe bought many years ago. Not representing me anymore, I will slowly donate them, for now I continue to wear them because now they are there, next to vintage and second-hand clothes. There are also items of brands that are not very sustainable but purchased used.
Ready to explain the reasons to those who ask me what I’m wearing.
I do not know if it is the best choice of all, I let myself be guided by common sense hoping to act in the least harmful way for the environment and other people. If you want to discover some sustainable outfits that I wear, in the Facebook group of Dress Ecode I share some photos with other participants.
And you? What did you decide to do? I would like to know and tell your story.