
I brand della moda collegati alla deforestazione in Amazzonia
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Stand.Earth ha recentemente pubblicato una ricerca sul legame tra il settore della moda e la distruzione della foresta amazzonica. Utilizzando i dati pubblici e governativi, l’indagine mostra come l’approvvigionamento di pelle dei marchi fashion rappresenti un rischio climatico esistenziale per il mondo, la foresta pluviale amazzonica e le comunità indigene.
L’allevamento di bestiame è collegato alla disponibilità di foreste. Uno studio del World Resources Institute ha rilevato che dal 2001 al 2015 l’industria del bestiame è responsabile del 36% della perdita di copertura arborea a livello globale. Gli allevamenti di bestiame hanno sostituito quasi il doppio della superficie forestale rispetto a tutti gli altri beni messi insieme (soia, olio di palma, gomma, cocco, caffè, fibra di legno).
Analizzando il tracciamento della pelle esportata dalla più grande azienda brasiliana di carne/pelle, JBS, Stand.Earth ha identificato i marchi complici nell’annientamento del polmone della terra. Infatti, tutte le realtà che si approvvigionano direttamente o indirettamente da JBS sono collegate al collasso della foresta amazzonica.
Il problema non riguarda solo JBS, ma l’intera industria brasiliana della pelle. Lo studio ha analizzato tutti i 6 principali esportatori, indagando 500.000 righe di dati doganali ottenuti da più fornitori di dati e incrociati con dati raccolti da altre fonti per scoprire la catena di approvvigionamento nascosta.
La pelle brasiliana viene utilizzata da concerie e produttori di tutto il mondo per realizzare innumerevoli prodotti di marca rivolti ai consumatori, comprese calzature e prodotti di moda di fascia alta.
L’Italia è significativamente coinvolta: circa un terzo delle esportazioni sono destinate infatti al nostro paese.
Al momento della pubblicazione, la ricerca evidenzia oltre 100 marchi che sono ad alto rischio di condurre la distruzione della foresta amazzonica. Questi marchi includono: Adidas, Nike, Coach, Prada, Zara, Ralph Lauren, Tommy Hilfiger, New Balance, UGG e Fendi, che hanno più connessioni con la deforestazione dell’Amazzonia.
Nello studio emergono:
- I brand con connessioni multiple alla deforestazione (=alto rischio). Tra questi:
- Adidas
- Fila
- Camper
- Nike
- Timberland
- Geox
- Puma
- ASICS
- Clarks
- Dr. Martens
- Tommy Hilfiger
- Calvin Klein
- Vans
- New Balance
- Zara
- H&M
- Guess
- Ralph Lauren
- Lacoste
- Prada
- LVMH
- Michael Kors
- DKNY
- I brand con una singola connessione, tra cui:
- Decathlon
- Giorgio Armani
- Bally
- Esprit
- Maison Margiela
Per connessioni si intendono i collegamenti individuali nella filiera tra varie aziende (concerie di pelle in Brasile, trasformatori di pelle in vari paesi, produttori e marchi di scarpe/moda in tutto il mondo). Un sito interattivo mostra i legami di tutti i marchi, le capogruppo e la catena di approvvigionamento.
I dati analizzati illustrano anche che un terzo delle aziende incluse nella ricerca sta violando le proprie policy, mentre i due terzi delle aziende non ha in atto politiche al riguardo.
Alcuni brand di moda si nascondono dietro a LWG (Leather Working Group), che da una parte sta collaborando con l’Università del Wisconsin e due Ong (NWF e WWF) per aumentare la trasparenza della catena di approvvigionamento, dall’altra però non riesce a occuparsi della deforestazione per via della mancanza di sistemi di tracciamento e di disponibilità di dati sulla catena del valore del bestiame in Brasile.
La certificazione LWG non garantisce che la pelle sia libera da responsabilità nella deforestazione.
I marchi spesso si nascondono dietro l’affermazione che le loro catene di approvvigionamento sono prive di deforestazione illegale, ma uno studio del 2020 ha rilevato che quasi tutta la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è illegale.
Slow Factory propone una campagna ambientale per chiedere responsabilità ai marchi e ritenerli legalmente responsabili attraverso la legislazione. “L’industria della moda è nota per le catene di approvvigionamento deliberatamente oscure che nascondono enormi diritti umani e abusi ambientali”, spiega Colin Vernon, co-fondatore di Slow Factory. “Dati gli standard molto permissivi e l’applicazione da parte del governo brasiliano, chiediamo ai marchi globali di assicurarsi che possano dimostrare che le loro catene di approvvigionamento sono pulite, senza fare affidamento sulla parola dei loro fornitori o su standard che hanno enormi scappatoie . La verità è che l’Amazzonia viene bruciata per allevare bestiame per carne e pelle, e i marchi hanno il potere di fermarlo”.
La pelle è un sottoprodotto?
La domanda ricorrente quando si parla di pelle e sostenibilità è: “Non si tratta di uso positivo di un sottoprodotto del bestiame che altrimenti andrebbe sprecato?”. Slow Factory conferma che non è così.
“Data la quantità di entrate delle esportazioni che il Brasile genera dalla produzione di pelle, le pelli bovine sono considerate un co-prodotto, piuttosto che un sottoprodotto, della carne bovina. Mentre la grande maggioranza della carne bovina brasiliana viene consumata a livello nazionale, la maggior parte della sua pelle va a finire in scarpe, borse, cinture e altri oggetti usati quotidianamente dai consumatori di tutto il mondo”.
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