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Primark: più cotone sostenibile vuol dire sostenibilità?

Più cotone sostenibile indica automaticamente la sostenibilità di un brand? Primark comunica i passi avanti del programma Sustainable Cotton e non si fa altro che parlare di sostenibilità dopo il lancio della linea Primark Cares. Il rivenditore irlandese di moda, proprietà di Associated British Foods (ABF), dichiara di avere come obiettivo che i capi durino di più, per ridurre l’impatto dell’attività dell’azienda sul pianeta e per migliorare la vita delle persone che realizzano i prodotti.

Nella sezione dedicata alla sostenibilità, tra attenzione all’ambiente e impegno verso le persone la moltitudine di messaggi virtuosi colpisce il lettore. È davvero così se analizziamo più attentamente i dati? Perché la vendita della felpa in plastica riciclata con la scritta Earth Day, a ridosso della Giornata dedicata alla Terra, ha suscitato non poche accuse di greenwashing?

Innanzitutto, le informazioni sul sito non sono facilmente accessibili, chiare e trasparenti. Facendo riferimento anche alle pagine della capogruppo ABF, cerchiamo di saperne di più.

L’ambiente

Materiali

Al momento un terzo dei prodotti è realizzato con materiali riciclati, biologici o provenienti dal programma Sustainable Cotton, che coinvolge agricoltori che applicano pratiche più sostenibili. Sebbene all’interno del programma dedicato al cotone molte tecniche siano utilizzate da coltivatori biologici, il cotone sostenibile di Primark non è per definizione bio. Primark prevede di raggiungere il 100% dei prodotti con materiali più sostenibili entro il 2030.

Una collezione è stata realizzata in collaborazione con Recover, innovatore nel cotone riciclato. Sono presenti capi in plastica recuperata. Non c’è evidenza della sostenibilità di tutti gli altri materiali utilizzati.

Primark si impegna a ridurre le sostanze dannose soggette a restrizioni di produzione (RSL)  lungo la catena di approvvigionamento, raggiungendo l’obiettivo di “zero rilascio” nel 2020. Non c’è però evidenza del raggiungimento di questo target.

Design

Primark dichiara un impegno nella riduzione dell’impatto ambientale nella fase di progettazione dei prodotti nei prossimi anni, ma non ci sono dettagli sulla diminuzione della produzione o delle materie prime utilizzate, né sull’aumento della qualità e sull’estensione del ciclo di vita del prodotto.

Affermano di voler incrementare il livello di durabilità. Al momento riguarda nella pratica solo il denim. Un ciclo di test molto più intenso di 30 lavaggi è stato introdotto per un ampio campione di denim da uomo, donna e bambino. Questo livello di rigore è raccomandato da WRAP e da Ellen MacArthur Foundation.

Rifiuti e spreco

“Il 96% di tutti i rifiuti generati dalle operazioni dirette di Primark è stato deviato dalla discarica”, è riportato nel report sugli ESG, senza specificare a quali processi facciano riferimento (sembra si intenda quelli relativi alla distribuzione e vendita di articoli di moda). Tra i dati pubblicati si legge che su 57.ooo tonnellate di rifiuti tessili prodotti nel 2021, 54.000 sono stati riciclati, senza dettagli sulle modalità. Si menziona lo schema di riciclaggio in negozio, con scatole di raccolta disponibili in tutti i 191 negozi in tutto il Regno Unito, recentemente esteso a Germania, Austria e Paesi Bassi. Primark collabora con Yellow Octopus, il cui obiettivo è che tutte le donazioni vengano riutilizzate o riciclate in modo tale che nulla finisca in discarica.

Imballaggi

Nel 2021 Primark ha creato 41.000 tonnellate di imballaggi. Ha rimosso 175 milioni di unità di plastica. Utilizza sacchetti di carta riciclata. Le grucce sono in cartone recuperato. Ha eliminato 86 milioni di etichette e adesivi dai prodotti e si prefigge di azzerare la plastica monouso entro il 2027.

Utilizzo di acqua

Nel report sugli ESG, si legge riguardo l’impegno nella riduzione dell’impiego di acqua ma il cotone, che ne richiede grandi quantità, è una materia prima essenziale per Primark: nel 2020 rappresentava circa la metà del mix totale di fibre utilizzate. Non ci sono dati sull’impiego totale di acqua per la produzione tessile.

Emissioni

Anche in questo caso si legge l’obiettivo: 50% di riduzione di emissioni lungo la catena del valore di Primark entro il 2030. L’anno scorso l’azienda ha prodotto in modo diretto 119.000 tonnellate di CO2e, a cui si aggiungono 4.783.000 tonnellate indirettamente generate dal trasporto di terze parti e dall’inventario esteso.

Energia

Nei rapporti della capogruppo, è indicato l’utilizzo totale per la parte retail di 461 GWh, di cui al momento lo 0% è rinnovabile. Primark ha ottenuto la certificazione ISO 50001 per i punti vendita, gli uffici e i centri di distribuzione in alcuni dei mercati consolidati.

Le persone

Moda sostenibileI fornitori sono scelti secondo un Codice di Condotta, definito dall’azienda. Questo insieme di principi guida si basa sugli standard del lavoro riconosciuti a livello internazionale dall’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e dal Codice di base dell’Ethical Trading Initiative (ETI)*. Primark verifica i suoi fornitori attraverso un’ispezione annuale sul posto. “Il nostro team per il commercio equo e la sostenibilità ambientale conta più di 130 esperti locali”, si legge sul sito. “Il loro compito è quello di eseguire, almeno una volta all’anno, controlli di persona presso tutti gli stabilimenti con cui collaboriamo e tenere inoltre corsi di formazione per il personale e i lavoratori”.

Sul sito è menzionata una serie di progetti in India, Myanmar, Bangladesh, Cina, Indonesia, Vietnam e Cambogia. Tra questi, la collaborazione con l’ILO nel programma Better Work è quella che dà maggior garanzia di impegno nel miglioramento degli standard lavorativi in paesi dove i lavoratori sono meno tutelati.

Primark è stata tra i primi rivenditori a firmare l’Accordo sulla sicurezza antincendio e negli edifici in Bangladesh, avviato da IndustriALL e UNI Global Union. È stata anche una dei primi a garantire alle vittime della fabbrica e alle famiglie colpite dal crollo un sostegno finanziario e aiuti alimentari dopo il disastro del Rana Plaza. Da allora Primark si è impegnata a offrire consulenza e guida finanziaria. Inoltre, il rivenditore irlandese ha lanciato il “Progetto Pashe Achi” per garantire che i beneficiari del risarcimento mantengano l’accesso al proprio compenso finanziario.

*È un’alleanza leader di aziende, sindacati e ONG che promuove il rispetto dei diritti dei lavoratori in tutto il mondo.

È davvero tutto a posto dal punto di vista sociale?

Sulla tracciabilità, Primark condivide online la mappa e l’elenco dei fornitori di primo livello (i partner con cui si interfaccia direttamente, che tagliano e cuciono i capi).

Non c’è però evidenza di aumento del numero di lavoratori retribuiti con un salario di sussistenza, né trasparenza sulle condizioni di lavoro esistenti per i lavoratori e la catena di approvvigionamento. Non c’è evidenza che tutte le materie prime utilizzate siano state prodotte nel rispetto dei diritti umani dei coltivatori e delle loro comunità.

Alcuni temono che i colloqui privati dell’azienda con i lavoratori, decritti come uno strumento di tutela, non siano sufficienti a proteggerli, perché non realizzati da organizzazioni esterne affidabili. Spesso i membri dei sindacati sono minacciati o licenziati: come assicura Primark che siano ammessi all’interno delle fabbriche e protetti in modo da svolgere liberamente il loro compito?

Sembra che le ispezioni annuali siano supportate da società di revisione indipendenti, affinché l’integrità degli audit non sia influenzata. I rapporti di audit non sono però pubblicamente condivisi, generando così molte domande su quanto Primark stia garantendo la protezione dei diritti dei suoi lavoratori. Analogamente, l’azienda ha in atto un sistema di reclamo ma non rivela i dati relativi ai reclami presentati.

Clean clothes campaign ha denunciato i salari più bassi e il mancato pagamento durante i mesi di fermo a causa della pandemia da parte di multinazionali tra cui anche Primark.  Quasi il 70% dei lavoratori intervistati ha sopportato periodi in cui non veniva pagata la normale retribuzione pre-pandemia. Tutti questi lavoratori sopravvivevano con salari di povertà già prima della pandemia ed è diventato ancora più difficile vivere dignitosamente. Inoltre, i lavoratori segnalano obiettivi di produzione aumentati, condizioni di lavoro non sicure e molestie da parte della direzione. Primark quest’anno ha fatto qualche progresso, impegnandosi in #PayUp per aumentare i salari e firmando il rinnovo dell’Accordo sulla sicurezza antincendio e negli edifici in Bangladesh.

È recente la notizia di una manager di Primark che denuncia l’azienda per discriminazione sessuale, dopo che le è stato detto di lavorare fino a tardi nonostante un figlio appena nato (fonte Independent).

Certificazioni

Non si trovano informazioni sulle certificazioni maggiormente utilizzate nella moda più responsabile, se non in alcuni capi come un tipo di jeans certificato CradleToCradle. Solo nei cosmetici, Cruelty free, certificati da Leaping Bunny. Non sono però vegan, perché alcuni prodotti possono contenere ingredienti da derivati animali.

Consumo responsabile e altri aspetti

Prezzi bassi

È la politica del colosso retail quella dei prezzi bassi, ribadita dalla recente dichiarazione di George Weston, Amministratore Delegato di ABF: “Ci stiamo impegnando a mantenere la nostra posizione di leadership in termini di prezzo e accessibilità nel quotidiano, soprattutto in questo contesto di crescente incertezza economica”. Da poco Primark ha comunicato però un aumento sui cartellini delle collezioni autunno-inverno, a causa dell’incremento dei prezzi delle materie prime e dell’energia in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Solo per questa ragione il gruppo prevede una riduzione dei margini delle proprie attività.

“Da più di dieci anni”, spiega Luca Ciuffreda, head of Primark per l’Italia, “possiamo garantire prezzi bassi perché non facciamo pubblicità, abbiamo ridotto il packaging al minimo, le grucce sono in cartone riciclato, e abbiamo un controllo, anche etico, sulla catena di produzione, che spesso è la stessa dei brand del lusso” (Fonte Laborability).

Sandali a £ 4, borse estive £ 10, profumo e vestiti £ 7, occhiali da sole £ 2. Com’è possibile mettere in atto la sostenibilità soprattutto sociale con prezzi così bassi?

In dubbio anche la qualità. È il caso delle mute da surf, oggetto in questi giorni di dibattito. Recentemente una rivista della Cornovaglia per surfisti ha attaccato la nuova gamma di mute di Primark, definendo i prodotti “economici”, “tristi” e “ad alto tradimento in mare”. Cornwall Live afferma che i capi saranno “buttati via in pochissimo tempo”. Il costo per le mute Primark è di £ 38 per la lunghezza intera e £ 32 per la versione corta. In confronto, una muta Xcel, considerata una delle principali aziende mondiali nel campo, costa tra £ 100 e £ 300. Anche un’altra rivista di settore, Real Surfing Magazine, ha colpito la catena di moda esortando i lettori a pensarci due volte prima di acquistare la nuova linea di prodotti.

Volumi e velocità degli acquisti

Non c’è traccia dell’impegno dell’azienda a produrre meno con l’obiettivo di diffondere un modello di consumo e produzione più responsabile. Un aspetto fondamentale per dimostrare di avere consapevolezza della crisi climatica e dei limiti delle risorse del nostro pianeta.

Ci sono invece indizi di strategie per invitare i clienti ad acquistare di più e cose di cui spesso non hanno bisogno. Nel documentario di Channel 5 Primark: How Do They Do It?, la psicologa Dr Amna Khan ha messo sul tavolo gli strumenti per indurre ad acquistare oggetti extra e a estendere la permanenza in negozio. Nel documentario afferma:

“Un ‘destination store’ crea un’esperienza per il consumatore, quasi come andare in un parco a tema in cui tutti i tuoi sensi sono attivati e vuoi rimanerci più a lungo”.

Primark acquista grandi spazi di vendita al dettaglio e aggiunge esperienze extra come bar e servizi di bellezza per invogliare i clienti a trattenersi negli shop e a spendere di più. Poiché non vende online come molti dei suoi concorrenti, gli acquirenti sono costretti a visitare il negozio di persona, dove sono esposti e tentati ad acquistare più beni e servizi, come la manicure. Il giocattolo segreto da 1 sterlina è un altro strumento da cui gli acquirenti di Primark sono ossessionati, catturati emotivamente dai ricordi d’infanzia.

L’azienda ha inserito sul sito alcune raccomandazioni sulla manutenzione dei capi da parte dei clienti in modo da estendere la durata.

Altri aspetti

Una cliente di Primark afferma che un reggiseno acquistato in negozio le ha lasciato la pelle irritata e dolorante. Rika Smith di Blackwood è rimasta con la pelle pruriginosa e dolorante dopo aver indossato il capo per la prima volta.

Una donna con taglia UK 10 è rimasta furiosa dopo aver acquistato un paio di pantaloni della taglia 12 da Primark senza riuscire a indossarli. Ally Marie ha raccontato su TikTok la vicenda per lanciare un messaggio: “Primark questo è ridicolo, non c’è da stupirsi che le persone stiano lottando con l’immagine corporea. Normalmente ho una taglia 8/10 in jeans e devo prendere una taglia 14 da Primark”.

Nella rapidità di far uscire nuove collezioni e la pressione di disegnare nuovi capi, le aziende ultra-fast fashion non sono nuove a episodi di plagio. La presentazione di un cappotto su Instagram è stata accolta da una valanga di “like” e complimenti, ma anche dall’osservazione del Daily Record sulla forte somiglianza con il cappottino oversize della collezione invernale di Blancha, brand toscano d’abbigliamento. Il capo originale è in shearling, prodotto in Italia, e la qualità in fase di design e di produzione si riflette sul prezzo.

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