
“Siete obese”: La fiaba cupa delle lavoratrici dietro ai lustrini della moda
Quando la moda dimentica chi la cuce
Tra gli anni Sessanta e Settanta, le operaie tessili di Reggio Emilia scesero in sciopero nelle principali fabbriche come Confit, Bloch, Maska, Max Mara, non solo per il salario. Chiedevano diritti sul corpo, sulla salute, sul tempo. Lavoravano in ambienti saturi di fibre, in piedi per ore, con turni notturni che non lasciavano spazio alla maternità, alla vita, alla dignità. Quelle donne, spesso invisibili nelle narrazioni sindacali dell’epoca, portarono nel cuore delle fabbriche un’urgenza nuova: la lotta non era solo economica. Era esistenziale.
In casi come Max Mara, le lavoratrici chiedevano il riconoscimento delle organizzazioni sindacali e dei contratti nazionali di lavoro del settore.
“La richiesta di migliorare l’ambiente di lavoro e di agire in difesa della salute […] rappresentò una significativa presa di parola e un campo di mobilitazione autonomo per molte donne”
da Le lotte delle operaie tessili reggiane, Genere Lavoro Cultura Tecnica
All’interno di aziende tessili come quelle del Gruppo Max Mara, le lavoratrici promossero auto-inchieste sulle condizioni ambientali e sanitarie nei luoghi di lavoro. Un’indagine svolta in collaborazione con il Centro di Medicina del Lavoro di Guastalla rivelò gravi criticità: temperature elevate, scarsa ventilazione, rumore, polveri tessili, mancanza di luce naturale e postazioni sedentarie forzate. Le conseguenze erano diffuse: disturbi ginecologici, muscolari, visivi e psicosomatici come ansia e irritabilità.
Cinquantaquattro anni dopo, sembra che il filo si sia annodato nello stesso punto.
Maggio 2025. Le lavoratrici della Manifattura San Maurizio – sede della produzione Max Mara – scioperano. “Qui siamo fermi agli anni ’80” – spiega Erica Morelli, segretaria generale Filctem Cgil Reggio Emilia.
Proprio lì, nella provincia di Reggio Emilia dove le operaie erano scese in sciopero, le lavoratrici moderne denunciano un sistema produttivo che sembra aver dimenticato tutto. Che impone ritmi forsennati, paga a cottimo mascherato, sorveglia costantemente per produrre sempre di più. Che le giudica per il corpo – troppo lente, troppo grasse, “mucche da mungere”- invitandole a fare esercizi a casa per dimagrire, come hanno denunciato intervistate da Ilaria Mauri de Il Fatto Quotidiano Un linguaggio che degrada, disumanizza. E dietro quel linguaggio, un’organizzazione che sfrutta il silenzio e la necessità di portare a casa uno stipendio.
“Ci pagano praticamente a cottimo e controllano anche quante volte andiamo in bagno, ma siamo tutte donne, abbiamo il ciclo: è disumano”
Non è solo Max Mara. Negli stessi giorni, a fine maggio, i carabinieri della Stazione di Modena e del Nucleo ispettorato del lavoro di Modena irrompono in un laboratorio tessile a Cognento, vicino Modena e scoprono lavoratori cinesi assunti in nero, sottopagati, privi di diritti. La responsabile cinese viene arrestata.
Nell’autunno del 2024, tra Reggio e Modena un’operazione contro il caporalato coordinata dalla Procura di Reggio porta al sequestro di sette laboratori del settore manifatturiero e del confezionamento di capi di abbigliamento. Vengono alla luce gravi condizioni di sfruttamento, violazioni delle norme di salute e sicurezza e condizioni precarie e degradanti degli alloggi.
Nel Nord affiorano casi analoghi:
- A Tezze sul Brenta (Vicenza), blitz della Guardia di Finanza: laboratorio sequestrato, dormitori ricavati nei capannoni, impianti pericolosi (Il Giornale di Vicenza)
- A Serravalle a Po (Mantova), ispettorato locale ha scoperto operai in nero, normative sicurezza disattese. La Procura della Repubblica di Mantova ha denunciato un 29enne di origini cinesi (Gazzetta di Mantova)
- A Cabiate (Como), chiuso un laboratorio tessile cinese che produce per conto dei migliori brand italiani nel settore moda (Il Giorno)
- A Milano e Monza, altri laboratori vengono multati. Sette titolari cinesi sono denunciati per caporalato. Manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento. Completamente inosservate anche le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e mancato anche il rispetto dei Contratti nazionali di lavoro riguardo a retribuzioni, orari, pause e ferie (il Cittadino Monza e Brianza). A Milano, chiusa una fabbrica-dormitorio dove gli operai erano pagati 4 euro all’ora per lavorare fino a 90 ore alla settimana, 7 giorni su 7 (Ansa).
Le etichette sono italiane, le condizioni no.
Ma l’indignazione si spegne presto, come una storia su Instagram.
Eppure queste storie gridano. Gridano un ritorno del caporalato sotto nuove forme. Gridano che anche nella moda di fascia alta la dignità umana può essere cucita via, punto dopo punto, in nome della produttività. Le mani che confezionano il cappotto perfetto non compaiono mai in passerella. Ma sono lì, usurate, controllate, stanche. E ora finalmente parlano.
È questa la “collezione primavera-estate” della moda italiana? Corpi denigrati, voci ignorate, eleganza fondata sul sacrificio altrui. La filiera della moda – lusso compreso – è tessuta di contraddizioni: belle immagini e filati di silenzio.
La sostenibilità non può essere una parola vuota sui cartellini. Deve essere una presa in carico pubblica: ambientale, economica, umana. Se c’è qualcosa da ricordare oggi, è questo: dietro a un cappotto da mille euro, c’è la temperatura di corpi spremuti. Se vogliamo parlare di moda giusta, iniziamo da chi quella moda la cuce.
Riflessioni
- Il corpo femminile come «misura» di produttività: quel “mucche da mungere” è la via estrema del body‑shaming industriale, dove il corpo diventa strumento, non soggetto.
- Il modello della catena invisibile: abiti che costano migliaia di euro nascono da un meccanismo disumano di caporalato, ramificazioni illegali che svelano l’anima oscura della filiera della moda.
- Dallo sfruttamento alla ribellione: dalle lotte delle operaie tessili degli anni ’70 – che hanno posto le tematiche di genere e salute sul tavolo – oggi rialzare la testa è un’esigenza politica, sociale, estetica. La bellezza non può prescindere dalla dignità.
Cosa è necessario fare ora:
Azione | Scopo |
Ispezioni mirate su stabilimenti storici come Manifattura e sub-forniture | Verificare contratti, applicazione CCNL e sicurezza |
Trasparenza delle filiere | I marchi dichiarino origine, condizioni e terze parti coinvolte |
Dialogo sindacale reale | Apertura a contrattazioni integrative e monitoraggio da CGIL/UIL. |
Sensibilizzazione dei consumatori | Rendere visibili i prezzi sociali dietro ogni capo |
Revisione del ruolo delle istituzioni | Dal governo a livello locale, sorveglianza, sanzioni efficaci |