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La Terra vista dallo spazio incontra il design modulare: con SEMINA indossiamo geometrie agricole e una moda più responsabile

https://www.spreaker.com/episode/43416225Puoi ascoltare qui l’articolo: SEMINA

Dalla collaborazione tra due brand, Biclot e earthncycle, nasce l’originale collezione SEMINA, che coniuga capi modulari dalle linee pulite ed eleganti alla visione della nostra Terra attraverso l’occhio dei satelliti nello spazio. Il design e la grafica di SEMINA raccontano dell’interazione naturale-artificiale, tra moda e agricoltura. Due mondi uniti in una collezione unica per trasmettere consapevolezza e responsabilità nelle scelte di produzione e di consumo. È frutto dell’incontro tra Chiara e Mariangela. Chiara si definisce una mente caotica e creativa, appassionata di design in tutte le sue forme: “Lo ritrovo nell’architettura per lavoro, nella moda per passione, nella natura per sua innegabile bellezza”.

Mariangela ha mille interessi e una grande passione per il nostro pianeta. “Esploro per lavoro le potenzialità informative dei dati da satellite guidata da spirito socratico (‘so di non sapere’). La bellezza, nel senso più ampio del termine, è l’utopia che mi guida”.

Le incontriamo in occasione di un’esposizione temporanea della loro collezione presso Nora-P a Monti, quartiere romano.


Ciao Chiara, ciao Mariangela. Ci raccontate come vi siete incontrate e com’è iniziata la vostra collaborazione?

“L’incontro è avvenuto online. Abbiamo scoperto i nostri rispettivi progetti e subito intuito il filo comune nell’apparente diversità. Uno sguardo dall’alto dei satelliti in orbita quello di @earthncycle, e uno sguardo ravvicinato, immerso nell’urbanità di Roma, quello di @biclot. Entrambe guardiamo alle donne contemporanee, che fanno scelte attente e consapevoli, che aspirano a un’eleganza ricca di senso che non si perde nel tempo“.

Com’è nato il brand SEMINA?

“SEMINA è nato… da un perfetto incastro di geometrie!
Mentre l’una (Mariangela) restava affascinata dalla diversità geometrica dei paesaggi agricoli visti dall’alto, l’altra (Chiara) aveva in mente il design di una capsule modulare essenziale, lineare ed elegante. Triangoli, cerchi, rettangoli, rombi agricoli hanno cominciato a dialogare con linee parallele e perpendicolari”.

Quali obiettivi avevate? Cosa vi ha ispirato?

“Con questa collezione vogliamo raccontare l’importanza della biodiversità nel contesto della sostenibilità, partendo dal tema agricolo.
Si tratta di una biodiversità declinata in senso lato:
– la scelta delle fibre
– il racconto delle diversità culturali, storiche e naturali nascoste nelle geometrie agricole scelte come temi grafici
– la varietà di gusto estetico di chi sceglie di indossare i capi SEMINA in una precisa combinazione piuttosto che un’altra, secondo l’umore e il contesto.

Siamo partite dalla visione satellitare di immense distese agricole disegnate dall’uomo per arrivare alla donna che comporrà il suo capo. Azioni che partono dalla stessa matrice, la volontà umana, che in questo caso cerchiamo di ispirare per intraprendere una scelta consapevole e personale”.

Parliamo dei materiali. Ci raccontate che tipo di tessuti avete scelto e perché? Bambù, menta, apocynum, latte, crabyon e lana rigenerata, giusto?

“Certo! I tessuti scelti hanno volutamente una composizione variegata, che include tutte le fibre citate, anche in combinazione con fibre più diffuse (quale il cotone organico). È nostra convinzione che, qualunque sia la fibra, non si possa essere sostenibili basandosi su un’unica scelta. La sostenibilità è a nostro avviso un equilibrio che si raggiunge attraverso la giusta combinazione di elementi variegati. Un po’ come una dieta corretta e salutare!
Peraltro, come quando introducendo alimenti e tecniche di cottura inusuali nella nostra dieta si hanno piacevoli sorprese per il nostro gusto e la nostra salute, anche l’esplorare nuove fibre ci ha portato a scoprire tessuti la cui piacevolezza sulla pelle non ha eguali!”.

Dove, come e da chi sono realizzati i capi di SEMINA?

I tessuti sono prodotti in Italia, da un’azienda che lavora unicamente con fibre più sostenibili, dunque che non concorrono a un ulteriore impoverimento di risorse del pianeta non rigenerabili, che non utilizzano prodotti nocivi per l’ambiente e la nostra salute, ma che valorizzano l’utilizzo di prodotti di scarto (come nel caso del latte e del crabyon), la scelta di risorse dagli utilizzi in molteplici campi (come per la menta, l’apocynum e il bambù), e la rigenerazione di scarti tessili che andrebbero altrimenti in discarica (come nel caso della lana rigenerata).
Abbiamo posto grande attenzione alla provenienza locale dei tessuti, così come alla localizzazione geografica dell’intera catena produttiva (la stampa digitale, l’incisione laser e la confezione dei capi).

Tutto si svolge in territorio italiano, con un impatto minimo dei trasporti (abbiamo stimato meno dell’1% dell’impatto dei trasporti sui costi – un buon indicatore dell’approccio che guarda al ‘km 0’)”.

moda sostenibile SEMINADa quali capi è composta la collezione?

“Ci sono 4 capi base: una giacca kimono in flanella di lana nera, un abito, un top e un pantalone in bambù satinato nero o in apocynum grigio avio. Ciascun capo è acquistabile separatamente, e può essere personalizzato attraverso l’applicazione (con il semplice clic di bottoni automatici nascosti) di pannelli decorativi di varia composizione e lunghezza stampati con le grafiche agricole, declinate in cinque tonalità di colore. I colori sono ispirati all’orto, e includono il blu-cavolo nero, l’arancio-carota di Parigi, il verde-cavolo romanesco, il viola-cavolo riccio e il rosso-carota Kintoky”.

Ci raccontate gli aspetti ambientali richiamati da SEMINA?

SEMINA prende spunto da 5 aree geografiche (in Europa, America e Africa) e non racconta solo di ‘problemi ambientali’. Vuole piuttosto far riflettere su come abbiamo, nella storia, e a diverse latitudini e longitudini, affrontato le situazioni.

Raccontiamo, per esempio, che la bellissima geometria con i triangoli inscritti in rombi dei vasti campi agricoli boliviani cela una deforestazione massiccia e rapida che fa posto a logoranti monocolture, ma anche che l’ingegno umano ben utilizzato ha trasformato, attraverso un’imponente opera idraulica, la terza al mondo per importanza e dimensioni, il lago del Fucino e le sue distruttive inondazioni in una rigogliosa piana agricola da cui provengono tante delle nostre verdure IGP”.

Secondo voi, la moda può essere un mezzo efficace per veicolare messaggi di attenzione all’ambiente? Il mercato, noi consumatori, siamo pronti ad accoglierli?

“Siamo assolutamente convinte dell’enorme potere della moda come mezzo per veicolare messaggi, e quello di offrire spunti di riflessione per modificare il nostro rapporto con l’ambiente (e tutti coloro che abitano questa casa comune) è il nostro obiettivo primo. Non è facile comunicare e farsi sentire in un mondo così ‘chiassoso’ come il nostro. È un percorso di continua ricerca dell’attenzione necessaria all’ascolto. È anche un processo di educazione a guardare oltre la facciata, a comprendere l’intera architettura (per dirla con il linguaggio di Chiara) quando scegliamo cosa indossare. Siamo fiduciose, sono sempre più numerose le voci che vogliono farsi portatrici di questo genere di messaggi e si riuscirà a far breccia!”

Chiara, cosa ami dei capi modulari?

La progettazione dei capi modulari è sicuramente l’aspetto che mi affascina, scomporre qualcosa di semplice, riconoscibile e trovare in quelle forme molteplici accoppiamenti.
Varianti che non dipendono soltanto da una sola mente; mi piace pensare che chi indosserà il capo si possa sentire partecipe di un processo creativo, possa esprimere al meglio la propria personalità , i propri gusti e le proprie esigenze. Non farsi soggiogare dall’abito (alla moda), piuttosto renderlo unico“.

Mariangela, qual è la cosa più preoccupante che hai visto dalle foto dallo spazio? E la cosa invece più bella?

Non è facile, ogni immagine può raccontare storie incredibili a chi guarda oltre, e non solo con gli occhi. Scelgo però di rispondere con due immagini dall’alto, emblemi, rispettivamente, degli effetti della separazione e della cooperazione.
La prima è una vista dalla stazione spaziale internazionale di una lunga, nettissima linea luminosa che taglia, per circa 3.300km, il buio dei territori indiano e pakistano. Circa 150.000 lampade per illuminare a giorno uno dei confini più contestati al mondo, origine di numerose guerre e conflitti.


La seconda è una vista da satellite che ci fa guardare direttamente sotto la superficie delle acque più trasparenti del pianeta, quelle delle Bahamas. A far da contraltare alla storia di separazione dolorosa del confine conteso, un luminoso esempio di cooperazione. Per più di cento milioni di anni (si pensa a partire dall’era giurassica), il lavoro congiunto della ‘fabbrica’, l’insieme di ambiente sedimentario, organismi e processi di precipitazione ha depositato il calcare che dà forma alle pieghe della piattaforma carbonatica sottomarina dell’arcipelago. Un plissé, per tornare ai nostri amati tessuti, senza eguali!”.

Avete in progetto altre collezioni insieme?

“Le idee sono sempre in movimento, ci vogliamo però prendere il tempo per esplicitare al meglio questa collezione, che riteniamo essere ricca di contenuti e spunti e non vorremmo passasse in fretta solo per essere in linea con le dinamiche di moda che conosciamo. Anche questo è sostenibilità”.

Il progetto di Mariangela e Chiara è unico e interessante. Ho seguito con curiosità il progetto fin dagli albori: l’impegno nel considerare in ogni dettaglio l’impatto ambientale e sociale e il messaggio di riflessione sull’interazione tra noi e il pianeta che ci ospita mi hanno affascinata.

Puoi scoprire di più qui:

Sito: https://biclot-earthncycle.myshopify.com/en

Instagram: @biclotdesign; @earthncycle

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